16 febbraio 2010

Martedì grasso: cenci fritti, quelli veri.

"Ma lo sa che non li ho mai fatti?"

"Davvero? Allora devi provare quelli dell'Artusi. 
Per due cose è buono l'Artusi: pe' i' migliaccio e pe' cenci, e i cenci vengano da sbattissi in terra"           (trad. da sbattersi in terra dal piacere)


Per chi avesse difficoltà a localizzare l'azione, preciso che questo scambio di battute avveniva in un salotto fiorentino, non più di una settimana fa. 

Una settimana in cui il pungolo di verificare se davvero questa ricetta dell'Artusi fosse tanto valida mi ha stuzzicato quotidianamente. 

Insieme a una vaga speranza di poter catturare un sapore che credevo perduto: La levità dei cenci della nonna che mangiavo da bambina. 
La croccantezza di quell'aria avvolta di pasta dorata, la futile importanza di quella nebbia zuccherina, la luce operosa di quel tavolo di festa.



Sempre più spesso ultimamente vedo spacciare per cenci dei grossi crostoli di pizza fritti, zuccherati e venduti senza pudore a caro prezzo.
Finché questo succede in una casa privata il fatto è del tutto irrilevante, ma quando si iniziano a vendere pietanze che solo una generazione fa sarebbero state giudicate immangiabili questo è un chiaro segno di un impoverimento del gusto collettivo. Cioè l'inizio della fine di una certa preparazione.

Si comincia con un sapore un po' appiattito, un procedimento un po' approssimativo finché nessuno si ricorda più com'erano quelli della nonna e sembra di averli sempre mangiati così.

Questi invece vengono proprio come devono venire: leggeri, leggerissimi, si sciolgono in bocca in un alone vanigliato e vanno maneggiati con delicatezza perché si rompono come carta secca.

Aggiungo solo un suggerimento: cambiate spesso l'olio della frittura per non inquinare il sapore delicato di vaniglia per il resto vi trascrivo le parole dell'Artusi, è quasi come averle prese da un ricettario di famiglia.



Cenci fritti di Carnevale, ricetta fiorentina
per due grandi vassoi (ovvero per 10 minuti di ressa intorno al tavolo)

farina, grammi 240 (io ho usato la manitoba per avere più croccantezza)

burro, grammi 20
zucchero, grammi 20
uova 2
vin santo, un cucchiaio (un qualunque vino passito va bene)
sale, un pizzzico.

zucchero al velo vanigliato per cospargerli



"Fate con questi ingredienti una pasta piuttoto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un cannovaccio.

Tiratene una sfoglia della grossezza d'uno scudo (se potete tiratela ancora più fina, dev'essere trasparente. A proposito: questa operazione è molto più facile se dividete la pasta in tante piccole palline invece che in una palla unica) e col coltello o con la rotellina a smerli tagliatela a strisce lunghe un palmo e larghe due o tre dita".

Friggete in olio fondo e cospargeteli di zucchero a velo appena sono tiepidi.
Assaggiatene un paio prima di portarli a tavola, dopo non è detto che facciate in tempo.

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